Musei italiani tra boom di visitatori e ritardi digitali: la sfida dell’IA


Mentre in Italia i musei, monumenti, aree archeologiche (MMAA) nel 2024 registrano un aumento di visitatori in media del 7% e di biglietteria del 6%, rimane stabile la quota di istituzioni che investono in tecnologia e innovazione digitale. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale per la Cultura del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Alea IActa est. Cultura e digitale, non si torna indietro”, della survey condotta tra febbraio e aprile 2025 su un campione di 436 istituzioni culturali. Tra gli obiettivi dell’analisi ci sono la rilevazione degli investimenti in innovazione digitale, l’adozione degli strumenti di intelligenza artificiale (IA) utilizzati, il grado di digitalizzazione delle collezioni e di accessibilità, l’analisi del comportamento dei visitatori, il modello di ricavi presente e del prossimo futuro.
Il 57% dei MMAA (campione di 390) prevede di investire in intelligenza artificiale nei prossimi tre anni, suddivisi tra il 37% nel miglioramento dell’esperienza di visita, il 24% in marketing e comunicazione, il 23% in sviluppo di prodotti e servizi culturali, il 14% nell’innovazione degli archivi. Il bicchiere può essere visto mezzo pieno o mezzo vuoto, quindi se da un lato più della metà di musei, monumenti e aree archeologiche italiani ha una propensione all’innovazione digitale, dall’altro esiste una grossa fetta, pari a quasi la metà, che non ha ancora percezione di quanto sia importante l’utilizzo dell’IA. Per gestire il cambiamento non basta solo avere la consapevolezza delle opportunità e dei rischi, ma bisogna fare uno sforzo in più, ossia creare le condizioni organizzative e acquisire le capacità adeguate. Difatti tra le criticità incontrate nell’adozione di IA si riscontrano la mancanza di competenze specifiche per il 55%, le limitazioni delle infrastrutture esistenti per il 32%, mentre il 29% risponde che a pesare sono i costi di implementazione tecnologica elevati. Il 13% segnala che le resistenze al cambiamento sono dovute al personale o alla complessità di gestione della privacy e dei dati, mentre solo il 9% percepisce il corretto formato dei dati come criticità e barriera all’innovazione.
L’IA porterà un efficientamento su attività operative, processi e favorirà l’accessibilità
L’ultima rilevazione sorprende e non poco in quanto la qualità dei dati risultante da standard internazionali che ne garantiscono la manutenzione e l’interoperabilità è essenziale per una tecnologia come l’intelligenza artificiale e non solo per ovviare alle criticità di bias e fake news. Si rende opportuno, quindi, sviluppare competenze interne per interfacciarsi con la tecnologia a ogni livello organizzativo e introdurre nelle istituzioni culturali figure ibride come i digital humanist che sappiano dialogare e lavorare con partner tecnologici. Importante è il dato del modello di business delle istituzioni culturali e in particolare dei MMAA. Nel 2024 aumentano i ricavi da biglietti che pesano sul complessivo per il 34% (33% nel 2023), in leggero calo i finanziamenti pubblici che passano dal 40% al 38%, stabili i finanziamenti privati del 17% e altri introiti del 4%, in quest’ultimi rientrano anche i ricavi da servizi digitali.
Ripartizione delle entrate totali per fonte di provenienza
La sfida è quindi diversificare i ricavi, sviluppando fonti alternative nell’era della digitalizzazione. “Ci siamo posti una domanda che riteniamo centrale: in un’epoca in cui tanto si è investito nella digitalizzazione del patrimonio culturale, la cessione delle immagini può davvero rappresentare una fonte di ricavo significativa per musei e istituzioni? Secondo noi, la risposta è no” spiega Eleonora Lorenzini, direttrice dell’Osservatorio. “In ambito internazionale si sta sempre più affermando il modello dell’open access, in un’ottica di maggiore accessibilità e condivisione della cultura. Il 70% di musei, monumenti e aree archeologiche offre immagini in modo gratuito. E tra chi ancora le cede a pagamento, il 61% dichiara un ammontare ricavi annuali inferiori ai 500,00 euro”. E quindi viene spontaneo chiedersi se il gioco valga la candela, in quanto i costi di gestione spesso non superano i ricavi. I servizi digitali rappresentano la nota dolente in quanto solo il 41% del campione offre il servizio di audioguida e questo per il 71% è gratuito o incluso nel prezzo del biglietto, mentre solo il 29% prevede una maggiorazione del prezzo del biglietto; solo il 31% offre un’app e per il 92% è gratuita o inclusa nel ticket di ingresso e il rimanente 8% prevede un pagamento a parte. Le esperienze in VR o AR sono offerte solo dal 20% del campione e per la maggior parte in forma gratuita o inclusa nel prezzo del biglietto.
“L’intelligenza artificiale può rappresentare una grande opportunità di trasformazione per il settore culturale: non solo ridefinisce i processi interni e le modalità di fruizione, ma apre scenari completamente nuovi per la conservazione del patrimonio e la partecipazione dei pubblici e apre la possibilità a nuovi modelli di gestione culturale che siano sostenibili e orientati alla generazione di impatto”, spiega Deborah Agostino, direttrice della ricerca dell’Osservatorio. Ciò che serve è una visione sistemica per cogliere le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale e, in particolare, da quella generativa. Quest’ultima può trasformare il modo in cui i professionisti della cultura lavorano e coinvolgono i pubblici. Ma perché diventi davvero uno strumento utile, servono visione, competenze e un confronto serio sulle implicazioni etiche, legali ed economiche. Senza una strategia chiara sui dati, però, l’IA rischia di restare solo una promessa. Secondo Fabio Viola, game designer e fondatore di Tuomuseo: “Strumenti come Runway, Suno, HeyGen, ChatGPT, che abbracciano conservazione, catalogazione e valorizzazione, emergono da un lato con la paura verso qualcosa di nuovo che potrebbe modificare radicalmente le professioni culturali, ma anche tanto entusiasmo per le opportunità offerte dall’IA soprattutto alle piccole e medie istituzioni costantemente alle prese con scarsità di risorse umane e budget. Possiamo immaginare musei che dialogano personalmente con ogni visitatore proponendo percorsi personalizzati, teatri che adattano le loro narrazioni in tempo reale secondo le emozioni del pubblico e archivi storici che prendono vita attraverso avatar interattivi grazie alla generazione automatica di narrazioni immersive”. La cultura italiana si trova alle soglie di una nuova rivoluzione epocale, in cui l’IA non rappresenta solo uno strumento tecnico, ma una chiave di trasformazione radicale nei processi e progetti culturali sia interni che esterni alle organizzazioni culturali.
Diverso potrebbe essere il valore derivante dalla commercializzazione di strumenti esperienziali
Per cogliere questa sfida il Ministero della Cultura, attraverso la Digital Library, propone Ecomic, Ecosistema digitale per la cultura, un ambiente collaborativo distribuito per sostenere la trasformazione digitale del settore culturale. Finanziato con fondi PNRR, il sistema offre tecnologie e servizi pensati per supportare tutti gli attori dell’ecosistema culturale – dai designer di servizi ai gestori e operatori – aiutandoli a sviluppare soluzioni digitali efficaci e inclusive. Queste soluzioni sono rivolte a un pubblico ampio: cittadini, professionisti, studiosi, educatori e chiunque sia interessato. L’obiettivo è generare valore non solo culturale, ma anche sociale ed economico. Fa parte dell’ecosistema la piattaforma laboratorio DPaaS, Data Product as a Service, pensata per realizzare software innovativi basati sui dati culturali e fornire servizi per generare valore aggiunto, per finalità espositive, educative, editoriali o commerciali, attraverso la co-progettazione e la co-creazione. Tra i destinatari ci sono le imprese, le università, gli enti locali, i musei, i quali potranno trovare l’ambiente ideale, si spera, per esporre i propri data product (prodotti derivati dai dati), in un catalogo pubblico con la possibilità di attivare opportunità commerciali in base a diversi modelli di business. E quindi, come recita il titolo del convegno “Alea IActa est”, il dado è tratto, la cultura italiana ha attraversato il Rubicone del digitale – o quasi – e non si torna più indietro.
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