Una tomba artica norvegese svela il destino degli animali dell'era glaciale

Nascosto nelle profondità delle montagne norvegesi c'era uno spazio di cui né la gente del posto né gli scienziati avevano mai sospettato l'esistenza, fino a quando un tunnel di costruzione non ne aprì le porte negli anni '90. Solo nel XX secolo i ricercatori riuscirono a raggiungere gli strati più profondi di sedimenti nella grotta di Arne Kvam ed estrarre i resti di un mondo scomparso, esistito nel nord decine di migliaia di anni fa. La grotta ospitava un archivio unico di fauna artica, congelato nel tempo e che conservava con cura le prove della vita in epoche in cui il clima era diverso da quello odierno.
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Nel corso di circa 75.000 anni, la grotta norvegese ha accumulato i resti di una vasta gamma di animali, da piccoli mammiferi come i lemming dal collare e i topi campagnoli, a uccelli, pesci d'acqua dolce e salata, e persino giganti del mare: balene, trichechi e persino un orso polare. Questa combinazione di tundra e abitanti costieri dipinge l'immagine di un paesaggio in cui l'acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacciai coesisteva con aree di mare aperto o di ghiaccio marino stagionale, creando corridoi migratori e aree di alimentazione per i grandi mammiferi.
Esperti di spicco, tra cui la biologa evoluzionista Sanne Boessenkool, sottolineano che prima di questa scoperta gli scienziati avevano pochissime informazioni su come fosse la vita nell'Artico nel periodo antecedente agli ultimi 10.000 anni.
"Le prove archeologiche e paleontologiche provenienti da queste latitudini spesso si fermano molto prima, e qualsiasi nuovo sito con resti ben conservati può cambiare radicalmente la nostra comprensione della biodiversità di quel tempo. La grotta in Norvegia colma una lacuna significativa: non registra semplicemente la presenza di singole specie, ma rivela un intero ecosistema collegato da un regime idrico e da cicli climatici comuni", spiegano i biologi. La presenza di resti di pesci d'acqua dolce conferma l'esistenza di laghi e fiumi nella tundra, le balene della Groenlandia e i trichechi indicano l'accesso al mare e al ghiaccio marino stagionale, e le focene, che, a differenza dei trichechi, evitano i corpi d'acqua completamente ghiacciati, suggeriscono che la copertura di ghiaccio probabilmente non fosse permanente. Tutto ciò dipinge l'immagine di un paesaggio in cui la vita dipendeva dalla fluida interazione tra mare e ghiacciai in scioglimento, fonti di acqua dolce e aree di alimentazione.
Di particolare interesse per i ricercatori sono stati i lemming dal collare, una specie ormai estinta in Europa, di cui in precedenza si avevano solo scarse prove della presenza sul continente. Le loro ossa, insieme a quelle di altri piccoli roditori, dipingono l'immagine di un paesaggio di tundra in cui piccoli animali, uccelli e predatori formavano complesse reti di interazioni. Ma l'osservazione più inquietante è che, quando il clima tornò a essere più freddo e secco, molti di questi antichi lignaggi si estinsero localmente e non furono in grado di adattarsi o migrare verso nuove aree. Il confronto del DNA mitocondriale delle ossa delle caverne con il DNA delle popolazioni moderne ha mostrato che nessuno degli antichi lignaggi rinvenuti sopravvisse alla grave ondata di freddo, suggerendo una perdita di diversità genetica e estinzioni locali. Questa è una lezione fondamentale: anche gli animali strettamente associati alle condizioni fredde erano vulnerabili ai cambiamenti climatici su larga scala e, se non sono riusciti a far fronte al freddo del passato, la loro capacità di affrontare il rapido riscaldamento odierno è seriamente messa in discussione.
Lo zooarcheologo Sam Walker sottolinea che i materiali rinvenuti forniscono un chiaro esempio di come gli ecosistemi rispondano ai grandi cambiamenti climatici. In passato, la biodiversità in questa regione dipendeva dallo scioglimento stagionale dei ghiacciai: l'acqua e le aree costiere esposte sostenevano una vita ricca. Quando queste risorse si ridussero a causa del congelamento, la diversità scomparve: le specie non furono in grado di spostarsi rapidamente o di adattarsi a nuove condizioni più fredde e secche.
"Oggi ci troviamo di fronte al problema opposto: il rapido riscaldamento dell'Artico e la frammentazione degli habitat, che rendono la migrazione e l'adattamento ancora più problematici. I luoghi in cui le popolazioni potrebbero trovare rifugio sono ora notevolmente frammentati, e questo facilita la perdita di specie e linee genetiche locali", osservano gli esperti.
Secondo gli esperti, la ricerca consentirà di comprendere meglio i meccanismi di estinzione e adattamento, aiuterà a ricostruire antichi ecosistemi e, possibilmente, fornirà le chiavi per preservare le popolazioni moderne.
mk.ru