L’Intelligenza artificiale sta uccidendo Internet

Internet è cambiato. Il web è cambiato. Se è vero che i motori di ricerca sono lo specchio di quello che è l’online, allora bisogna ammettere che l’online non è più lo stesso.
Google, finora l’infrastruttura centrale per la circolazione dell’informazione in digitale, con l’introduzione delle sintesi di fatti, profili, notizie fatte dall’IA (Ai Overview) ha completato una mutazione storica della ricerca online: da motore di ricerca a fornitore di risposte.
Non si cerca più su Google per essere rimandati a un sito che contiene le informazioni, ma quelle informazioni te le fornisce Google stessa. Se prima l’utilità dell’essere indicizzati era ripagata in click al sito, click che diventavano ricavi per siti e piattaforme, oggi quel click non c’è più. Con un rovescio della medaglia. All’utente 99 volte su cento basta la sintesi dell’informazione. Google prende i contenuti dai siti, li sintetizza con la sua Intelligenza artificiale, e ai siti non resta nulla. Né click, né traffico.
Traffico dei siti di informazione crollato dell’80%I dati lo spiegano bene. Secondo Authoritas, società di analisi britannica specializzata in traffico online, i siti di notizie (i principali al mondo, in tutto il mondo) hanno perso negli ultimi due anni quasi l’80% del traffico dai motori di ricerca. Ma diverse analisi indipendenti in questi mesi hanno dato risultati analoghi. E tutte fotografano un calo drastico delle visite, dei click. E meno click significano meno ricavi. Un dato che ha riguardato finora soprattutto i siti di informazione anglosassoni e di quei paesi dove Google ha reso accessibile Ai Overview. Causando proteste da parte delle associazioni degli editori. Nel Regno Unito, negli Stati Uniti, ovunque.
E ora che Ai Overview è arrivato in Italia (non tutti gli utenti possono già vederlo all’opera, ma molti già cercano con la nuova funzione) le proteste si sono allargate anche qui. La Fieg, l’associazione degli editori, ha presentato un reclamo formale all’Agcom contro il servizio di Google. Azione coordinata con l’Europa, perché il problema riguarda tutta l’informazione.
Novembre 2022: il punto di non ritornoInternet è cambiato. Il punto di non ritorno è arrivato il a fine novembre del 2022. Quando OpenAi ha messo online ChatGpt molti sapevano che quello strumento avrebbe modificato il nostro rapporto con la rete e con l’informazione. Google ha seguito la rivoluzione avviata dalla società di Sam Altman che ha deciso di aprire al pubblico il suo chatbot. E il pubblico ha risposto.
Un chatbot è più pulito nel fornire le informazioni. Risponde direttamente, spesso lo fa con buon tono e modo. E se sbagli molto spesso non ce ne accorgiamo. “Il problema è profondo”, spiega a Italian Tech Raffaele Gaito, volto popolare su Youtube dove 180 mila persone seguono le sue lezioni di divulgazione tecnologica. “ChatGpt e gli altri strumenti di IA ci danno la risposta che vogliamo senza accedere a siti pieni di banner e finestre popup. Ci danno la stessa informazione, ma più pulita. Una volta provata quella esperienza, il vecchio sito internet non lo voglio più”.
Gaito non si riferisce solo ai siti di informazione. Ma a tutti i siti. Perché se è vero che i siti delle grandi testate perdono e perderanno molto traffico, una miriade di blog e di piccoli siti avranno difficoltà ad esistere. Niente click, niente soldi, questo è lo scenario.
Il comportamento degli utenti è cambiato: il lato oscuro della comodità di un chatbotSe Internet è cambiato è perché il nostro modo di accedere alla rete è cambiato. L’Intelligenza artificiale è comoda. Un chatbot è comodo. Talmente comodo da usare che siamo tentati di dare per buone le sue risposte, anche se sappiamo che potrebbe sbagliare (tendenza non dissimile a quella che avviene in certe comunicazioni tra umani). Ma quella comodità mette a rischio la qualità dell’informazione ricevuta. Della visione del mondo e della realtà che se ne ottiene. Con effetti sul lungo tempo imprevedibili anche dal punto di vista politico e sociale.
Se prima sul web si navigava, si surfava si è detto per anni, oggi ci si atterra. Si chiede una cosa, si ottiene una risposta. E quella risposta spesso la si dà per buona. Fine. I siti specializzati si affrettano a trovare soluzioni. A sintetizzare i messaggi più diffusi, molti dicono di cavalcare l’onda, di usare la tecnologia come strumento per correggere gli errori e i drammi causati dalla tecnologia stessa. Ma non è sempre facile. E non sempre la velocità e l’immediatezza vanno d’accordo con un prodotto editoriale.
In una marea di contenuti generati dalle IA, gli umani cosa diventano?Chatgpt, Gemini, Perplexity e Grok ci hanno abituati a questo. Problema che si estende dalla rete, dall’informazione, ai social. Dove negli ultimi anni sono frequentissimi i profili fatti con l’IA. O finiti, o profili veri di aspiranti influencer, che replicano a post e tweet in automatico per rastrellare follower. Internet è diventato un posto di contenuti generati dall’Intelligenza artificiale. I social sono sempre più reti sociali di Intelligenze artificiali. E gli utenti della rete chi sono? Che fanno?
“L’utente è diventato più uno spettatore, un fruitore di contenuti. È cambiato il suo comportamento. Si fida di quello che legge nelle sintesi”, commenta Gaito. “Il problema vero è che i contenuti online per anni hanno perso credibilità, a tutti i livelli. Si è erosa la fiducia nei confronti dei media, di qualunque media. Impressiona poco se oggi ci si fida di un chatbot o di un’immagine generata da un’IA”.
Una teoria del complotto diventa realtà: Dead InternetIl problema è duplice quindi. Google non ha fatto altro che mettere in campo uno strumento che asseconda un modo di usare la rete che ha già ampiamente convinto gli utenti. È un punto di non ritorno. C’è una teoria che da qualche anno circola in Internet. Si chiama Dead Internet Theory. Per anni è stata considerata alla stregua del peggiore complottismo. Ma in realtà ha anticipato quello che sta succedendo. L’IA sta uccidendo Internet. Sui motori di ricerca. Sui social.
Un mondo dove i contenuti umani non ci sono più o sono una minima parte di una marea di contenuti generati solo dall’AI, di cui noi siamo spettatori passivi. “Non so se è vero che Internet è morto. Ma oggi è seriamente a rischio. Io di natura sono ottimista”, spiega Gaito”, ma questa combinazione di fattori sta erodendo la potenza del web”. Il problema non è tanto lo strumento, ragiona, ma come si usa. “I chatbot sono usati male per generare contenuti di pessima qualità.
Questi contenuti invadono il web (al momento sono circa il 70% di quelli che si possono trovare online, dice la media delle ricerche più recenti, ndr) che poi va ad addestrare ulteriormente le IA. Il problema è davvero serio. Se guardiamo a Google per capire dove sta andando il web, non ci sono ottime prospettive”.
repubblica