Il bullismo è una ferita (anche) per il cervello delle vittime. E non guarisce mai

Così come lo scoppio di un petardo o il rumore di un piatto che cade a terra può “risvegliare” in un veterano ricordi e paure legate alla guerra, anche solo osservare su uno schermo scene di prevaricazione fisica e verbale in una scuola può “riaccendere” stati di angoscia allarmanti in vittime di bullismo, nonostante siano passati molti anni dalla terribile esperienza. Una sorta di disturbo post-traumatico da stress che attiva reti cerebrali sociali ed emotive, nonché sistemi autonomi di risposta alle minacce. A scoprirlo è uno studio condotto dall’Università di Turku, Finlandia, e pubblicato sulla rivista Journal of Neuroscience. “I risultati ci mostrano quanto possono essere profonde le ferite e le cicatrici di una vittima di bullismo”, commenta Matteo Balestrieri, già ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente della Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia (Sinpf).
“Il bullismo può generare un trauma e chi lo ha subito è più sensibile a evocarlo, anche se sono passati degli anni”, spiega Balestrieri. “E’ come una ferita sempre aperta ed assistere a un evento simile significa buttarci del sale sopra, facendola bruciare di più”, aggiunge. Lo studio è stato condotto sia su un gruppo di adolescenti (11-14 anni d'età) che su adulti, per un totale di circa 100 partecipanti. I ricercatori hanno chiesto ai soggetti di guardare video in prima persona che simulavano in modo realistico scene di bullismo e interazioni sociali positive in un ambiente scolastico. Questo approccio “naturalistico” ha permesso di cogliere la complessità dell’esperienza, andando oltre le limitazioni dei paradigmi sperimentali semplificati. Le risposte ai video sono state misurate tramite risonanza magnetica funzionale negli adolescenti e tramite tecnologie di analisi dei movimenti oculari e delle dimensioni delle pupille negli adulti. I risultati hanno fatto luce sull’impatto profondo del bullismo sul nostro Sistema nervoso centrale.
Non dolore sociale ma allarme fisico e viscerale nel cervelloIn particolare, è emerso che il bullismo non è solo un “dolore sociale” astratto, ma un vero e proprio stato di allarme fisico e viscerale nel cervello. L’osservazione delle scene di bullismo, rispetto alle interazioni positive, ha innescato una significativa attivazione in aree chiave nei soggetti che sono stati a loro volta vittime di bullismo. Ad “accendersi” è stata l’amigdala, il centro della paura; l’insula, l’area legata all’interocezione e alle sensazioni viscerali; e lo striato dorsale, coinvolto nello stress. Colpite anche le cosiddette aree somatosensoriali e motorie, il che suggerisce una forte componente corporea dell’esperienza e la potenziale preparazione a un’azione motoria, come la fuga o l’attacco. Inoltre, sono risultate coinvolte anche la corteccia cingolata anteriore, la corteccia prefrontale ventrolaterale e quella dorsomediale, fondamentali per l’elaborazione socio-emotiva e la regolazione dello stress.
Effetto “desensibilizzazione”Nonostante la risposta generale sia risultata ampiamente coerente tra adolescenti e adulti, sono emerse alcune differenze importanti. Negli adolescenti l’attivazione cerebrale è risultata più diffusa. In particolare, l’aumento dell'attività nell'amigdala e nelle aree talamo-somatosensoriali suggerisce un'esperienza del bullismo più corporea o viscerale rispetto agli adulti. Inoltre, negli adolescenti, una maggiore vittimizzazione pregressa è risultata correlata a una maggiore attivazione dei circuiti emotivi e di regolazione in risposta al bullismo simulato, indicando una potenziale sensibilizzazione al pericolo sociale. Negli adulti, al contrario, un’anamnesi di bullismo nell’infanzia è risultata correlata a una minore attivazione in molte di queste stesse aree, suggerendo un effetto di desensibilizzazione a lungo termine del sistema di allarme affettivo. “L’attivazione più attenuata di alcune aree cerebrali negli adulti può dipendere dal tempo trascorso dall'evento traumatico vissuto in prima persona, quindi dall'episodio di bullismo”, spiega Balestrieri. “Con il tempo e l’accumularsi di esperienze, nell’adulto può avvenire un processo di rimozione dei traumi subiti o anche di costruzione di cicatrici, che rende le persone meno sensibili a determinati traumi e che, a volte, può spingerle a trasformarsi da vittime a carnefici”, conclude.
La Repubblica