Tra le colline dello Yorkshire, la dimora del conte che inventò il turismo


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A Castle Howard è racchiusa un’Italia in miniatura. Una collezione privata del meglio della cultura classica, un omaggio al nostro paese, alle sue bellezze e al suo immenso patrimonio artistico, il tutto nel posto più improbabile al mondo
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Dopo una mezz’ora in auto dalla stazione ferroviaria di York, stupenda città medievale dell’Inghilterra, che per secoli si era chiamata Eburacum – era la città più a nord dell’Impero romano e incoronò imperatore Costantino Il Grande – la strada inizia a inerpicarsi. Le colline dello Yorkshire, se la giornata è di sole e il cielo è blu, cosa che capita non moto spesso ma oggi è uno di quei giorni, ricordano quelle della Toscana.
In cima alla collina più alta della zona si staglia una maestosa costruzione: è in mattoni gialli di limestone, la tipica pietra della zona, e l’architetto John Vanbrugh, la celebrità dell’epoca che progettò anche Blenheim Palace – dove secoli dopo nacque prematuro Winston Churchill –, la progettò in stile barocco inglese, con una cupola, fregi, colonne e statue. E’ Castle Howard, da trecento anni la casa di famiglia dei conti di Carlisle. Sotto al castello, che in realtà è più una villa, si apre una vista incantevole sulla campagna, tra laghetti, pascoli e boschi: è il paesaggio inglese al suo meglio. Ma chi arriva fin qui, non lo fa per i 3600 ettari della tenuta, ma per gli ancor più strabilianti interni della villa-castello. Qui è nato il turismo: la parola turista non esisteva nel vocabolario italiano, per secoli durante il medioevo nessuno viaggiava per puro diletto, ma è l’italianizzazione della parola anglosassone “tour”, andare in giro. Sono stati gli inglesi a inventare il fenomeno: verso la fine del Seicento, il nobile Charles Howard, terzo conte di Carlisle, viaggia in Italia per andare a visitare la culla della civiltà, le rovine dell’antico Impero romano, solo per piacere e amore della cultura. E’ il primo “turista” moderno, il pioniere dei viaggi di vacanza. Nel Settecento diventerà una moda, per i figli delle famiglie aristocratiche del nord Europa, andare a fare un viaggio a sud, nel Mediterraneo, a visitare l’antichità: più di un secolo dopo il precursore Howard, il tedesco Johann Wolfgang von Goethe scenderà anche lui dalla Germania e scriverà il Viaggio in Italia che immortalerà il “Grand Tour”.
Quando Charles torna dal suo viaggio, è così inebriato dalla cultura classica, ha la mente così piena delle meraviglie che ha visto, dai ruderi di una civiltà superiore che emana fascino e stupore secoli dopo la sua scomparsa, che decide di costruire una “Grand Tour House” una casa che raccolga i ricordi del suo viaggio: nel 1699 inizia la costruzione di Castle Howard, che richiederà cento anni e sarà completata da suoi discendenti.
E’ così che nel bel mezzo dello Yorkshire oggi il visitatore trova una specie di “Italia in miniatura” dell’antichità, una collezione privata del meglio della cultura classica, un omaggio all’Italia, alle sue bellezze e al suo immenso patrimonio artistico, il tutto nel posto più improbabile al mondo. La grande scalinata d’ingresso che porta al piano nobile sembra un museo archeologico: le pareti sono stipate all’inverosimile di fregi, busti e gessi, originali e copie in gesso, tra cui una testa colossale di Dioniso del terzo secolo dopo Cristo, un busto di Lucio Geta, il fratello dell’imperatore Caracalla e governatore di Eburacum, un altare dall’Oracolo del tempio di Delfi, che l’ammiraglio Nelson aveva sottratto all’esercito napoleonico dal porto di Napoli.
E il resto della magione continua su questo tenore: l’Antique Passage, uno stretto corridoio di archi in pietra, è una galleria di busti di imperatori romani, da Settimio Severo a Gordiano II, quasi tutti comprati dal figlio di Charles Howard, il quarto conte di Carlisle, che comprò quanti più reperti possibili in un viaggio di due anni in Italia tra il 1715 e il 1717. Da lì si accede a una stanza che ospita una copia del Galata morente, (i Galati o Galli erano una popolazione della costa del mar Nero sottomessa da Attalo, il Re di Pergamo), celebre statua ellenistica trovata nel Seicento a Villa Ludovisi. Dalle grandi finestre la vista si apre su un giardino in cui, in lontananza, si intravede quella che sembra a tutti gli effetti una piramide: i più eruditi, o i romani, riconoscono subito una somiglianza con la piramide di piazzale Ostiense. E’ una copia perfetta del monumento italiano: i romani la chiamano piramide, e dà pure il nome a una fermata della metro B, perché assomiglia appunto alle piramidi d’Egitto. Ma i faraoni non c’entrano: era la tomba di Gaio Cestio, pretore di epoca augustea, oggi inglobata nella mura aureliane costruite secoli dopo il mausoleo del ricco patrizio.
L’apice dell’enorme dimora è la sala della cupola, che ospita un camino alto dieci metri. Anche qui la protagonista è l’Italia: la medesima cupola, danneggiata da un incendio nel 1940, durante la Seconda guerra mondiale quando il castello era stato trasformato in una scuola per ragazze, è stata decorata dall’affresco “La caduta di Fetonte” del pittore veneziano Giovanni Pellegrini, che dipinse il mito del figlio di Helios e Climene che volle guidare il carro celeste del padre e precipitò rovinosamente.
“La caratteristica di Castle Howard” – nota Nicholas “Nick” Howard, l’ultimo erede della famiglia – “è che il castello non è mai finito: ogni generazione aggiunge qualcosa e migliora”. La sua, di generazione, ha restaurato la grandiosa Long Gallery, sala neoclassica a 3 vani, che ospita banchetti e matrimoni: alle pareti, accanto ai ritratti degli avi della famiglia, compare una festa del Redentore di Bernardo Bellotto e i capricci di Giovanni Panini, famoso per le sue fantasiose viste di Roma, che raggruppavano in paesaggi irreali vari monumenti antichi, una versione ante litteram dell’AI generativa che crea foto di Trump Papa.
Se l’antenato George Howard, un reduce della Seconda guerra mondiale, è passato alla storia come l’erede che aprì il castello al pubblico dopo secoli di proprietà privata, Nick, unico discendente del nono conte di Carlisle, e sua moglie Victoria, attuali gestori della tenuta, saranno ricordati come coloro che hanno aperto le porte al cinema: se molte sale instillano nel visitatore una sensazione di dejavù è perché qui fu girato Barry Lindon, film in costume di Stanley Kubrik, e più di recente Bridgerton, la celebre e controversa serie tv di Netflix che ha fatto indignare mezzo mondo per l’eresia del Settecento con la regina africana, scene esplicite e una contestualizzazione storica alquanto bizzarra, per non dire da cancel culture. Ma, in fin dei conti, è sempre l’Italia a ispirare l’arte e la cultura.
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