Salute globale e sovranità nazionale: un conflitto inevitabile?

Appena cinque anni dopo la più grande crisi sanitaria globale del XXI secolo, il mondo si trova nuovamente ad affrontare un dilemma preoccupante: mentre il ricordo del COVID-19 è ancora vivo e le organizzazioni internazionali stanno lavorando a riforme per garantire che un'emergenza simile non ci colga mai più di sorpresa, alcuni paesi, guidati dagli Stati Uniti, stanno iniziando a prendere le distanze dal consenso generale.
A metà luglio, il governo degli Stati Uniti ha annunciato ufficialmente il suo rifiuto delle riforme del Regolamento Sanitario Internazionale (RSI), approvate dall'Assemblea Mondiale della Sanità nel 2024. Questi emendamenti, a lungo negoziati sulla scia della pandemia, miravano a rafforzare i meccanismi di preparazione, risposta e cooperazione tra gli Stati di fronte alle minacce sanitarie transfrontaliere. Il loro contenuto include la creazione di nuove categorie di emergenza, sistemi di notifica e risposta più agili e l'impegno a condividere risorse e dati in situazioni critiche.
I funzionari statunitensi ritengono che le nuove disposizioni dell'IHR potrebbero "compromettere la capacità del Paese di prendere decisioni sovrane".
Per molti esperti di sanità pubblica e diplomazia sanitaria, questo passo indietro rappresenta un grave rischio per l'architettura di governance sanitaria globale. Per altri, rappresenta una riaffermazione della sovranità nazionale in un ambito particolarmente delicato: le decisioni in materia di salute, sicurezza e diritti fondamentali all'interno dei confini di ogni Stato.
Cosa c'è in gioco?L'RSI non è un trattato nuovo. Risale al 1969 ed è stato modificato nel 2005 dopo l'epidemia di Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS). Il suo scopo è definire un quadro comune per l'individuazione, la segnalazione e la risposta alle minacce transfrontaliere per la salute pubblica, con l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come organismo di coordinamento. Non è giuridicamente vincolante, ma stabilisce obblighi giuridici per gli Stati membri, tra cui la segnalazione immediata di determinati eventi sanitari e misure per evitare di ostacolare ingiustificatamente il commercio o i viaggi.
Dopo il COVID-19, è diventato chiaro che questo strumento, seppur utile, era insufficiente. La notifica tardiva, la mancanza di cooperazione tra i Paesi, la competizione per i vaccini e l'opacità sui dati chiave hanno evidenziato i limiti di un modello volontaristico in un mondo interconnesso.
Le riforme concordate nel 2024 miravano a correggere queste debolezze. Tra gli altri aspetti, includono:
- La creazione di una nuova "emergenza sanitaria immediata" per agire prima che una crisi raggiunga proporzioni globali.
- L'istituzione di punti focali nazionali più operativi con comunicazione diretta con l'OMS.
- Meccanismi di cooperazione obbligatori per la distribuzione di prodotti essenziali (antivirali, vaccini, dispositivi di protezione).
- Requisiti più rigorosi in materia di trasparenza dei dati, accesso ai campioni biologici e sorveglianza genomica.
In breve, una versione più solida dell'IHR, che punta a una governance sanitaria più preventiva, equa e vincolante.
L'argomento della sovranità e i suoi limitiPerché gli Stati Uniti hanno respinto queste riforme? L'argomentazione principale è un ibrido tra legale e politico: le autorità statunitensi ritengono che le nuove disposizioni del RSI potrebbero "compromettere la capacità del Paese di prendere decisioni sovrane" in materia di salute pubblica, sicurezza nazionale e libertà individuali. Particolarmente preoccupanti sono gli aspetti che potrebbero essere interpretati come una cessione di controllo in situazioni di emergenza, nonché la possibilità che l'OMS dichiari una crisi che richiederebbe una risposta interna.
Se in futuro dovesse ripetersi una situazione come quella del 2020 e i paesi più potenti decidessero di agire al di fuori dei meccanismi multilaterali, la risposta sarebbe più lenta.
Ma questa argomentazione apparentemente ragionevole lascia senza risposta una domanda fondamentale: può un Paese affrontare da solo una minaccia sanitaria che non conosce confini?
Se la pandemia ha chiarito una cosa, è che la salute globale non può dipendere esclusivamente dalle decisioni dei singoli Paesi. L'individuazione precoce dei focolai, la condivisione in tempo reale delle informazioni epidemiologiche, il coordinamento delle catene di approvvigionamento e la distribuzione di vaccini o antivirali sono processi che richiedono più della semplice buona volontà: richiedono regole comuni, fiducia istituzionale e impegni verificabili.
Da questa prospettiva, fare appello alla sovranità, seppur legittimo, diventa un ostacolo se paralizza gli sforzi per costruire meccanismi di risposta globali che, in ultima analisi, proteggano anche ogni singolo Paese.
Il rischio della frammentazione e le sue conseguenzeIl rifiuto degli Stati Uniti non è meramente simbolico. Ha conseguenze pratiche e persino strategiche . Essendo il principale finanziatore dell'OMS, la sua decisione potrebbe influenzare altri Paesi esitanti a ratificare le riforme. Inoltre, potrebbe indebolire la legittimità politica delle nuove regole, che devono godere di un ampio sostegno per essere efficaci.
Dal punto di vista sanitario, i rischi sono tangibili. Se una situazione come quella del 2020 dovesse ripetersi in futuro e i Paesi più potenti decidessero di agire al di fuori dei meccanismi multilaterali, la risposta sarebbe più lenta, più diseguale e meno efficace. Lo abbiamo già visto con la corsa ai vaccini, dove la logica del "ciascuno per sé" ha prevalso sui principi di equità.
Inoltre, la mancanza di coordinamento internazionale in ambito sanitario genera costi indiretti di portata economica, sociale e politica. La fiducia dei cittadini nelle istituzioni si erode quando la risposta è caotica. Le disuguaglianze peggiorano quando le risorse essenziali non raggiungono tutti e le teorie del complotto trovano terreno fertile in assenza di narrazioni istituzionali chiare o di una cooperazione visibile tra gli Stati.
E l'Europa?Da Bruxelles, la posizione è più sfumata. L'Unione Europea ha sostenuto attivamente le riforme del RSI e del futuro trattato sulla pandemia. Tuttavia, alcuni Stati membri hanno espresso riserve su questioni relative alla privacy, alla protezione dei dati o ai meccanismi di conformità. Il rifiuto degli Stati Uniti potrebbe incoraggiare questi paesi o settori più riluttanti e rallentare il processo di attuazione.
La Spagna, da parte sua, ha difeso la necessità di una risposta globale coordinata, basata su prove scientifiche e solidarietà. Il Ministero della Salute ha partecipato attivamente ai negoziati preliminari e ha sottolineato l'importanza di procedere verso una sanità globale più solida ed equa.
Un'opportunità da non perdereLa pandemia di COVID-19 è stata una tragedia globale, ma anche un'opportunità storica per ripensare la cooperazione sanitaria internazionale. Le riforme del RSI sono state, e continuano a essere, un passo in quella direzione. Probabilmente richiedono adattamenti. Sicuramente richiedono anche garanzie. Ma soprattutto, richiedono volontà politica, lungimiranza e visione a lungo termine.
Rifiutarli in nome di una sovranità restrittiva e a breve termine è, in sostanza, un modo per rifiutarsi di imparare dall'esperienza. E nella sanità pubblica, rifiutarsi di imparare è un lusso che il mondo non può più permettersi.
EL PAÍS